Le scalmanate Nina’s Drag Queens al teatro Paisiello con Il Giardino delle ciliegie di Anton Cechov: appuntamento venerdì 12 febbraio, alle ore 21
La regia è affidata a Francesco Micheli.
Il Giardino delle ciliegie è la terra dell’infanzia, del sogno ad occhi aperti, l’orizzonte dell’ancora possibile. Ad abitarlo, sei donne, in attesa della fine. Donne, piuttosto creature. Forse sono gli stessi alberi di quel giardino, tacchi a spillo per radici, braccia maschili come rami tesi? Il Giardino delle ciliegie è un mondo fragile, incerto, quasi di vetro. Su di esso pesa lo sguardo di una schiera di uomini che si avvicina, lenta, nera, pronto all’assalto inevitabile, all’ammazzamento. Perse in questo vivaio di ricordi e passioni, le donne-albero annodano mille piccole vicende attorno a un’unica grande tragedia familiare. Sono viaggiatrici senza passaporto, dive senza palcoscenico, eroine tragiche senza tragedia. E ridono, ridono spesso. Ma sempre con le lacrime agli occhi.
Perché affrontare i grandi classici del teatro in vesti drag queen? Perché facciamo teatro e a un certo punto abbiamo capito di aver costruito, nel tempo, un linguaggio nostro, col quale provare ad affrontare una materia teatrale vera e propria, sconfinando dalla concezione dello spettacolo drag queen come intrattenimento e varietà tout court. Abbiamo scelto il Giardino dei Ciliegi per la sua coralità e per qualcosa di indefinito che sentivamo emergere da questo testo, un sentimento lontano, che ha a che fare con la nostalgia per un mondo scomparso, superato, seppellito. Tra le righe continuavamo a trovare conferme: queste donne erano personaggi eccessivi, smaniosi, dominati da una scomodità di fondo. Un’inquietudine di vita dolorosa ma anche buffa e colorata, a suo modo vivace: interpretarla en travesti non era azzardo, semmai una chiave espressiva possibile. La drag è per sua natura un essere irrisolto: riunisce in un corpo solo maschile e femminile, non è mai quello che è, rincorrendo all’infinito un’immagine irraggiungibile. Quei personaggi, inaspettatamente, erano perfetti per noi. Il mondo femminile di Checov è vario e affascinante, combinazione fine di ridicolaggine e tragedia: se da un lato ci permette di scomodare l’immagine delle grandi attrici (Valentina Cortese è affettuosamente omaggiata nello spettacolo), dall’altro è un orizzonte di provincia, dove le fantasie prendono vita, dove per scacciare la noia si balla sole, perché nessuno si è presentato alla festa. Spesso non capivamo se fosse il caso di ridere o di piangere delle avventure di queste donne.
Il lavoro di drammaturgia è stato condotto per frammenti, giustapposizioni musicali, montaggio di scene del testo originale con numeri in playback che ne completassero il senso e – talora – ne spostassero l’asse, le parti maschili, totalmente assenti, sono in parte state assorbite da quelle femminili. Non pensiamo di avere stravolto l’opera di Checov; piuttosto ci siamo chiesti a cosa corrispondano, nell’oggi, quelle ansie, quelle manie, quei caratteri. Checov ci racconta di un mondo senza più appigli, di personaggi che non riescono a tenersi aggrappati al proprio mondo interiore, purcontinuando a rifugiarvisi di continuo. È la cronaca di un’epoca di passaggio, e questo è qualcosa che assomiglia al presente.
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