La Puglia nella grande guerra. Il ruolo dell’Esercito Italiano

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Le vicende della grande guerra

presentazione 'la puglia nella grande guerra'LECCE – Nel corso della prima guerra mondiale la Puglia, pur distando centinaia di chilometri dal fronte principale delle Alpi, fu coinvolta direttamente nelle vicende belliche ed il suo territorio subì vari bombardamenti aeronavali che costrinsero all’approntamento di opportune difese con uno sforzo organizzativo non indifferente. La Puglia, inoltre, costituì le retrovie lontane dei fronti albanese e macedone, dove reparti dell’Esercito Italiano combattevano a fianco delle altre potenze dell’Intesa. Per questa ragione la Puglia vide la creazione di numerosi nuovi ospedali destinati ad ospitare feriti ed ammalati sgombrati dai Balcani e l’implementazione delle infrastrutture logistiche incaricate dell’alimentazione dei corpi di spedizione d’oltremare. Si costituirono, poi, svariati campi di concentramento per prigionieri di guerra catturati dalle forze italiane sui campi di battaglia del Triveneto. Il principale contributo alla guerra ed alla vittoria fu dato, però, dai militari pugliesi chiamati alle armi, molti dei quali di distinsero per atti di eroismo, meritando decorazioni al Valor Militare.
La dislocazione dei reparti dell’Esercito in Puglia al 1° gennaio 1915 era la seguente:
– Comando Brigata di Fanteria “Regina” a Bari,
– 9° Reggimento Fanteria “Regina” con sede a Bari e battaglioni distaccati a Brindisi e a Taranto,
– 10° Reggimento Fanteria “Regina” con sede a Bari e battaglione distaccato a Monopoli,
– 14° Reggimento Fanteria “Pinerolo” di stanza a Foggia,
– 29° Reggimento di Fanteria “Pisa” di stanza a Trani,
– 47° Reggimento di Fanteria “Ferrara” di stanza a Lecce,
– Depositi del 9° Fanteria a Taranto, del 10° Fanteria a Bari, del 14° Fanteria a Foggia e del 47° Fanteria a Lecce,
– 5° squadrone del Reggimento “Cavalleggeri di Foggia” (11°) a Foggia,
– 1° e 4° squadrone del Reggimento “Cavalleggeri di Piacenza” (18°) a Cerignola,
– 1° e 4° gruppo del 4° Reggimento Artiglieria da Fortezza (da costa) rispettivamente a Taranto e a Brindisi,
– 11ª compagnia sussistenza ed 11ª compagnia di sanità di stanza a Bari.
All’atto della mobilitazione i reggimenti completarono i propri organici coi richiamati delle ultime classi e furono inviati in zona di radunata al confine con l’Austria-Ungheria (tranne i reparti di artiglieria da costa). In Puglia rimasero attivi i depositi dei reggimenti che si dedicarono all’addestramento delle reclute o dei riservisti delle varie classi di leva chiamate o richiamate alle armi. Il sistema di reclutamento su base nazionale e non regionale in vigore in Italia nel 1915 faceva sì che, tranne alcune eccezioni, ciascun reggimento dell’Esercito fosse formato – anno per anno – da soldati di leva provenienti da cinque o sei distretti di leva del Paese, destinati a prestare servizio in un’ulteriore provincia della Penisola.
Avveniva così che, per esempio, la Brigata Forlì fosse composta da fanti foggiani e tarantini, oltre che da lombardi, veneti marchigiani e siciliani, mentre la Brigata Puglie inquadrava soldati campani, toscani, siciliani, calabresi, oltre che pugliesi di Barletta. I soldati dei distretti pugliesi furono quindi destinati a far parte di diverse brigate di fanteria o reparti di altre armi e specialità dell’Esercito ed è difficile dire in quali essi prestarono prevalentemente servizio, senza contare i molti che, ricadendo sotto la leva di mare, furono destinati a prestare servizio nella Regia Marina.
Il contributo della Puglia alla Vittoria del 1918 non si esaurisce poi con i suoi soldati inviati a combattere al fronte, dacché anche il suo territorio ne fu interessato direttamente.
Abitualmente si identifica la Prima Guerra Mondiale con il fronte nord orientale: le trincee sull’Isonzo, le doline del Carso, le vette innevate della Marmolada e dell’Adamello. Ma per l’Italia la Grande Guerra fu anche una guerra marittima, combattuta dalla nostra Marina per impedire alla flotta austro-ungarica l’uscita dal Canale d’Otranto. A questo scopo la flotta italiana stabilì un’intensa ed efficiente rete di controllo dell’Adriatico meridionale che ebbe nei porti pugliesi di Brindisi e Otranto il suo cuore organizzativo e logistico. La Puglia fu anche la retrovia immediata del fronte albanese, dove le truppe italiane vi si erano insediate fin dal 1914. Il Corpo speciale italiano in Albania, grande unità a livello divisionale incentrata sulla Brigata “Savona”, fu progressivamente implementato fino a raggiungere la forza di un Corpo d’armata, il XVI. Tale unità affrontò prima sul fronte di Durazzo poi su quello di Valona i reparti austro-ungarici fino al 1918 e da Valona e Durazzo furono tratti in salvo i resti dell’Esercito serbo che tentavano di sottrarsi dalla cattura. Alcuni dei militari serbi recuperati dalle navi della Marina Italiana e Francese trovarono una prima sistemazione proprio nei porti delle città pugliesi. Oltre alle piazze marittime della Regia Marina di Brindisi e Taranto dove trovarono base le navi da guerra italiane, francesi ed inglesi impegnate nel controllo delle rotte del Mediterraneo contro l’azione dei sommergibili tedeschi ed austriaci e nel blocco del Canale d’Otranto, le Puglie ospitarono anche numerosi aeroporti e scuole di volo del Corpo Aeronautico. Fu nella provincia di Foggia, infatti, che vennero dislocati un gran numero di campi dìaviazione destinati ad accogliere le scuole di pilotaggio di quello che allora era il Corpo Aeronautico dell’Esercito, scuole che poi furono frequentate anche da piloti statunitensi inviati a combattere in Europa nel 1918, fra cui l’italo-americano Fiorello La Guardia che diverrà famoso sindaco della città di New York ed a cui è appunto dedicato il più importante scalo intercontinentale della “grande mela”.
Pur se il fronte terrestre era lontano, la Puglia ebbe lo stesso a piangere i suoi caduti, soprattutto civili, a causa di azioni di bombardamento dall’aria e dal mare. Nel corso del conflitto la Puglia, infatti, fu sovente obiettivo di incursioni aeree dell’aviazione di marina austro-ungarica e di bombardamenti navali, che causarono non poche vittime civili tra la popolazione. Già nel primo giorno di guerra, 24 maggio 1915, la flotta austro-ungarica prese di mira la costa pugliese bombardando Vieste e Manfredonia, Barletta e isole Tremiti. Per esempio Bari, già colpita più volte dal cielo nell’estate del 1915, subì un pesante attacco nell’estate del 1916, quando sei idrovolanti attaccarono non solo il capoluogo pugliese ma anche Mola di Bari, Molfetta ed Otranto. Ad Otranto caddero poche bombe che non fecero danni ed a Mola di Bari si ebbero danni di poco conto e 7 feriti, ma a Molfetta si contarono 6 morti e 20 feriti ed a Bari, nonostante l’intervento delle due batterie controaerei da 75/911 dell’Esercito e di un treno armato della Marina, si lamentarono 11 morti e 2 feriti. Sempre nel 1916 furono bombardate anche Brindisi e Bisceglie. Per contrastare tali azioni Esercito e Marina approntarono una fitta rete di osservatori, posti di allarme e batterie costiere e controaerei destinate alla difesa dei centri abitati e delle principali installazioni militari. Così, alla fine del conflitto era schierato a difesa del litorale pugliese un considerevole dispositivo di batterie controaerei, quali: 9 batterie da 76/40 (28 cannoni) assegnate al Comando Difesa Marittima di Vieste, 3 batterie da 76/40 (12 cannoni) a quello di Bari, 5 batterie da 76/40 (40 cannoni), 4 da 102/35 (20 cannoni) a quello di Brindisi, 4 batterie da 76/40 (14 cannoni), 1 da 76/45 (4 cannoni) a quello di Otranto, 2 batterie da 76/45 (4 cannoni) dipendenti dal Comando Difesa Marittima di Gallipoli, 9 batterie da 76/40 (37 cannoni), 2 da 102/35 (12 cannoni) da quello di Taranto. Sempre per compiti di difesa aerea, furono operative dai campi di volo di Bari e Foggia, due squadriglie di velivoli, talvolta rischierate in parte in altri campi di aviazione pugliesi. Ancora più importante fu il numero di batterie d’artiglieria destinate al contrasto antinave ed antisommergibili facenti parte dell’organizzazione punti di rifugio gestita dal Regio Esercito e delle difese delle piazze marittime di competenza della Regia Marina. Vari centri abitati marinari della Puglia furono difesi da pezzi di artiglieria, di norma di modello antiquato, con serventi delle classi di leva più anziane, incaricati di intervenire col fuoco soprattutto contro sommergibili in emersione che solevano sparare colpi di cannone contro le installazioni portuali ed il traffico navale sottocosta. Il Gruppo autonomo di Vieste, con distaccamento a Gallipoli, ad esempio, disponeva di 4 pezzi da 120 G. Se l’organizzazione complessiva risultante dalle batterie armate di cannoni poteva ritenersi sufficiente per assicurare il traffico del piccolo tonnellaggio costiero e per impedire incursioni avversarie con azioni di bombardamento contro centri abitati, essa non era però di per sé sola altrettanto idonea a contrastare efficacemente eventuali operazioni di sbarco e colpi di mano notturni intesi ad interrompere la ferrovia litoranea. Pertanto, l’Esercito fu incaricato di provvedere al rafforzamento della difesa costiera, specie con reparti di truppe e mitragliatrici in misura adeguata a garantire l’inviolabilità e la protezione diretta di infrastrutture militari e civili particolarmente sensibili, quali industrie, depositi di carburante, ecc. Alla Marina spettò la difesa costiera delle basi navali e dei porti di Taranto (con un centinaio di cannoni di calibro compreso tra 400 e 57 mm), Brindisi (una novantina di pezzi di calibro compreso tra 381 e 76 mm), Vieste, Manfredonia, Margherita di Savoia, Barletta, Otranto, Monopoli, Gallipoli, Rodi Garganico, isole Tremiti. Sempre la Marina impiegò nel tratto Barletta-Mola di Bari treni armati per compiti di difesa costiera e controaerei dotati di bocche da fuoco da 152/45 e da 76/40.
Notevole fu lo sforzo della sanità militare pugliese per il ricovero di feriti ed ammalati provenienti dai campi di battaglia d’Albania e della Macedonia, dove operavano rispettivamente il XVI Corpo d’Armata e la 35ª Divisione di Fanteria italiana sotto comando francese. Questi due fronti non furono caratterizzati da combattimenti particolarmente violenti e quindi da elevate perdite in vite umane, ma, piuttosto, da una pessima situazione igienico-sanitaria, dovuta all’inospitalità dei luoghi, che determinarono la diffusione di gravi malattie. Le trincee e le retrovie sia del fronte albanese, sia di quello macedone correvano, infatti, sovente su terreni acquitrinosi e paludosi, che causarono l’insorgere tra i combattenti della malaria, che mieté più morti delle granate avversarie. Alla malaria si aggiunsero, poi, altri morbi come l’influenza cosiddetta “spagnola”, e malattie infettive come la dissenteria, tifo, scabbia, blenorragia, ecc., che costrinsero allo sgombero in Italia di migliaia di militari ammalati. Ad esempio, sul solo fronte albanese, nel biennio 1915-1916 si ebbero 17354 casi di malaria, mentre nell’ultimo trimestre del 1918 si registrarono 7787 casi di malattie infettive. Su fronte macedone si registrarono dal 1916 al 1918 oltre 93 mila ospedalizzazioni per malattie a fronte di 6800 feriti ospedalizzati e di 3200 caduti in combattimento. Bari e Brindisi furono i principali porti di approdo delle navi ospedale che facevano la spola con i Balcani. Da queste due città, tramite treni sanitari opportunamente attrezzati, i feriti venivano irradiati verso centri ospedalieri di tutto il sud Italia. Il primo treno adibito a trasporto malati e feriti della Croce Rossa Italiana (numero XXVI) fu assegnato alla Direzione di sanità di Bari già nel dicembre 1915. Oltre agli ospedali della sanità civile, sin dall’estate 1915 si attrezzarono da parte della Croce Rossa edifici pubblici riconvertiti in luoghi di degenza, come a Gallipoli e a Trani. L’incremento considerevole, soprattutto a partire dal 1916, dei feriti e ammalati sgomberati dall’Albania e dalla Macedonia costrinse ad incrementare il numero di ospedali. Così, per l’assistenza dei feriti provenienti dalla Macedonia si propose la trasformazione in ospedale di primo sgombero dell’Ateneo di Bari e di due locali situati l’uno ad Acquaviva delle Fonti e l’altro in Maglie. Secondo la relazione sul Servizio Sanitario nella Grande Guerra conservata nell’archivio dell’Ufficio Storico, nel 1916 “l’Intendenza Generale, vista l’urgenza, accordava 1500 posti letto di cui disponeva in Puglia e autorizzava, d’accordo con le autorità civili e militari interessate, l’adattamento a contumaciale dell’ospedale di riserva impiantato nell’Ateneo di Bari.” Sempre nel 1916 furono aperti gli ospedali della Croce Rossa di Trani (n. 43) capace di 300 posti letto, di Molfetta (n. 44), quello di Grumo (n. 26) e si decise la requisizione del’istituto delle “Marcelline” di Lecce, che diede un contributo di oltre 700 posti letto. Sempre a Lecce era attivo un altro ospedale creato presso l’Istituto “Palmieri”. Complessivamente erano a disposizione oltre 5300 posti letto ripartiti in 9 centri sanitari delle Puglie (Acquaviva, Gioia del Colle, Altamura, Santeramo, Francavilla Fontana, Lecce, Trani, Molfetta, Grumo), oltre a quelli di Crotone e di Catania. Nel solo anno 1916, complessivamente furono sgomberati dall’Albania e dalla Macedonia quasi 20 mila militari infermi con navi ospedali che approdarono a Bari, Gallipoli, Taranto, Brindisi, oltre a Catania e Crotone.
Da alcune relazioni dell’Ufficio sanitario dell’Intendenza speciale di Taranto si ricavano informazioni interessanti relative agli sgomberi ed al movimento degli infermi: “Mentre nel mese di agosto del 1916 e nella prima quindicina di settembre gli sgomberi furono pochi e compiuti tutti per mezzo di navi ospedale di piccola e media capacità, in seguito andarono aumentando progressivamente a cagione del forte contributo d’infermi del Corpo Italiano di Salonicco: sgomberi fatti per la maggior parte con navi ospedale di grande e media capacità, e sempre colla maggiore intensità, date le cattive condizioni sanitarie di detto Corpo. Furono rimpatriati complessivamente nel semestre: 19672 infermi, dei quali 9588 dall’Albania e 10084 da Salonicco. Ciò rese naturalmente necessario un aumento di mezzi di trasporto (terrestri e marittimi) e quello di posti letto negli ospedali di primo sgombero, e cioè aumento del numero di navi-ospedale, dei treni sanitari, degli ospedali di primo sgombero esistenti nella zona Puglie. […] Porti d’approdo. Di massima, gli approdi di navi ospedale di piccolo e di medio pescaggio furono effettuati a Bari, essendo tale porto in posizione centrale rispetto agli sgomberi sugli ospedali delle Puglie e dal punto di vista ferroviario; senza dire, poi, che a Bari trovavansi la Delegazione trasporti e la Commissione sanitaria mista; donde la possibilità di solleciti accordi fra movimento marittimo e movimento ferroviario. Ma durante la stagione invernale, essendo difficile l’entrata in porto, l’approdo si effettuò a Brindisi per la navi ospedale maggiori; tanto più che il porto di Bari non ha fondale sufficiente. Queste navi potevano pure approdare a Catania, dove era stata estesa la zona di primo sgombero, nonché a Taranto e a Brindisi; la quale ultima località era assai opportuna dal punto di vista del sicuro approdo e del pronto scarico.”
Nel corso del conflitto, la Puglia ospitò numerosi campi di prigionia di militari austro-ungarici catturati al fronte. Il primo invio di prigionieri da parte della 3ª Armata si registrò già nell’agosto 1915 con 2100 uomini di truppa e 54 ufficiali ripartiti nei campi di internamento di Bari, Acquaviva, Bitonto, Bitetto, Monopoli, Lecce e Turi. In settembre giunsero ad Acquaviva, Bitetto, Bitonto e Castellana altri 745 prigionieri di truppa e 20 ufficiali, seguirono in ottobre 365 soldati e 10 soldati assegnati ai campi di Bitetto, Castellana, Lecce e Acquaviva. Gli arrivi proseguirono intensi nel prosieguo del conflitto tanto che si dovettero costituire altri campi di concentramento prigionieri per ufficiali e per truppa a Mola di Bari, Barletta, Ostuni, Casale d’Altamura e Conversano. Al 1° gennaio 1917 si trovavano ospitati in campi delle Puglie e della Basilicata, dipendenti dall’XI Corpo d’armata territoriale di Bari, circa 5400 militari austro-ungarici e 365 ufficiali. All’epoca solo una minima parte (300) erano impegnati in lavori di pubblica utilità. Tale quota si incrementerà notevolmente nel corso del 1918, con l’impiego estensivo dei prigionieri soprattutto in lavori agricoli e come manodopera d’officina.
I distretti militari della Puglia richiamarono alle armi nel periodo 1915-1918 circa 290 mila militari. Il distretto per fornì il maggior numero di uomini alle armi fu quello di Lecce con oltre 76 mila, seguito da quello di Barletta (circa 60 mila) e Bari (circa 57 mila). Fra il 24 maggio 1915 e la fine del 1918 caddero ben 26.811 soldati pugliesi mentre altri 1.324 persero la vita negli anni seguenti per cause o circostanze riconducibili alla guerra. In totale 28.195 Caduti, pari a circa il 4,5% dei morti italiani della prima guerra mondiale. Alcuni di questi, scomparsi nei fronti meno noti dell’Albania e della Macedonia, riposano oggi nel Sacrario dei Caduti d’Oltremare a Bari. Fra tutti coloro che immolarono il bene supremo della vita alla Patria, la gran parte apparteneva alla Fanteria di linea (22.343), 1.055 ai Bersaglieri e 1.012 all’Artiglieria. Da rilevare la presenza tra i caduti anche di 29 alpini. 730 caduti appartenevano alla Marina, 169 alla Guardia di Finanza, 199 all’Arma dei Carabinieri e 40 al Corpo Aeronautico, allora entrambi componenti del Regio Esercito. Altri 112 caduti erano operai militarizzati o appartenenti al soccorso sanitario. Tra i distretti militari di Bari, Barletta, Foggia, Lecce e Taranto, in cui era all’epoca ripartita la regione, quelli che fornirono il maggior numero di caduti furono quelli di Lecce e di Barletta, rispettivamente con un totale di 6.953 e 6.394 caduti. Il distretto di Bari fu, invece, quello col minor numero di caduti: 4.572. Particolarmente colpite furono le classi di leva fra il 1888 ed il 1896, le quali soffrirono, in media, quasi 1.900 perdite ciascuna. Alla fine della guerra furono ben 910 le decorazioni al Valor Militare, fra cui 8 Medaglie d’Oro, 470 d’Argento e 357 di Bronzo, a eloquente e glorioso riconoscimento del valoroso tributo, espresso sul campo, dalla generosa gente pugliese. Gli otto decorati con la massima onorificenza al Valor Militare appartenevano tutti all’Arma di Fanteria (di linea e truppe d’assalto), tranne il Maggiore del Genio Mario Rossani, di cui vale la pena soffermarsi e onorarne il ricordo. Originario di Cassano Murgie (BA) ed appartenente al 2° Reggimento Genio Minatori, la vita di quest’ufficiale fu tutta un’avventurosa sfida alla morte; si può dire che egli giocasse quasi col pericolo e che lungi da esso gli sembrasse di non vivere. Fin dal suo primo giungere nella zona di guerra, quale capitano comandante una compagnia minatori, si rese subito noto per il superbo sprezzo della morte e per la sua innata modestia. L’uno dopo l’altro ottenne tre encomi solenni, per il sereno coraggio e l’abilità, con la quale diresse in più occasioni lavori di afforzamento e di difesa nelle nostre prime linee. Poi, cominciano a costellare il suo petto i segni azzurri del valore. La prima Medaglia d’Argento gli è data sul Sabotino, il 22 giugno 1916, « per essersi spinto sotto i reticolati nemici a raccogliervi la salma di un suo dipendente, e per avere in tale circostanza fatto prigioniero un austriaco, col quale aveva impegnato una lotta corpo a corpo, uccidendone un altro che accorreva in aiuto del compagno ». Durante le giornate vittoriose di Gorizia, poi, il maggiore Rossani guadagna la seconda e la terza Medaglia d’Argento. La sera del 6 agosto, infatti, egli, come dice la motivazione: « con impareggiabile slancio guida, al seguito di un battaglione, la propria compagnia fino al costone di San Mauro, assicurandone il possesso; si slancia quindi alla presa dello sbocco destro del ponte dell’Isonzo. Noncurante del pericolo, con freddo coraggio e travolgente audacia ributta le forze nemiche oltre la riva sinistra del fiume, strappando all’avversario una batteria da campagna e parecchio altro bottino, assicurando il dominio di tutto il ponte sotto il violento e persistente fuoco nemico». E non basta; il giorno dopo duran¬te la crisi violenta della battaglia il capitano Rossani contribuisce in pri¬missimo grado, con la sua opera e col suo valore, al mantenimento dei ponti di Salcano ed alla completa conquista della riva destra dell’Isonzo. Passato quindi, dopo un breve corso di studi, a prestar servizio di stato maggiore presso il comando della 35a Divisione, non tarda a risentire la nostalgia della linea di battaglia, della trincea, e domanda di tornare fra i suoi soldati. Promosso maggiore per merito di guerra, a soli ventisette anni, assume il comando del 69° Battaglione zappatori, e ben presto dà un’altra prova di valore, guadagnando un’altra ricom¬pensa al valore; il 29 agosto 1917, sul Pasubio avviene lo scoppio di un deposito di esplosivi; noncurante, come sempre, della propria inco¬lumità, il maggiore Rossani accorre per trarre in salvo i soldati feriti e rimane colpito a sua volta da una seconda esplosione.
Dopo la riconquista del Monte Corno, effettuata il 10 giugno 1918 dalla Brigata Murge e dal V Reparto d’assalto, bisognava provvedere a rafforzare la posizione, in modo da rendere impossibile qualsiasi sorpresa da parte nemica. Tale delicato compito fu affidato al maggiore Rossani, ed in esso il valoroso ufficiale trovò la morte. Fosse soverchia audacia, fosse il desiderio di esser sempre primo là dove battevano le ali della morte, la sera del 27 giugno egli si spinse fino alla nostra pri¬missima linea, per stabilire ove si dovesse far sorgere un nuovo retico¬lato, del quale, anzi, volle personalmente piantare i primi paletti. Ma si era appena curvato, che una pallottola di mitragliatrice, per-foratagli la visiera del berretto, lo feriva alla testa. Con straordinaria forza d’animo, egli, pur sentendo la gravità della ferita, la nascose ai suoi soldati e si sforzò di continuare la sua opera. Si sollevò, alfine, e si diresse verso la scala a corda che era servita a lui ed ai suoi uomini per salire sulla posizione, allorché un grosso proiettile di bombarda, scoppiando a brevissima distanza da lui, lo fece stramazzare in fondo ad un precipizio roccioso.
I suoi soldati lo piansero come un fratello, il migliore di tutti, ed il generale Marieni, comandante in capo dell’arma del Genio cosi concluse il suo elogio, davanti alla salma dell’eroe: « In ogni circostanza, in ogni luogo, noi ufficiali e soldati del genio, se ci chiederanno un espo¬nente di gentilezza, di semplicità e di ardimento cavalleresco, di au-dacia, di giovinezza esuberante, di serenità fatta di consapevolezza e di forza, noi risponderemo: maggiore Rossani! e nel caro nome fraterno sentiremo ripalpitare tutte le più fulgide virtù della stirpe ».
La Medaglia d’Oro al Valor Militare fu degno coronamento di questa nobilissima esistenza di soldato:
« Costante e fulgido esempio di fermezza, di attività e di coraggio, dirigeva imperterrito lavori di rafforzamento sulla cima di un monte di recente conquistato, in una località tuttora vivamente contrastata dal¬l’avversario. Ferito alla testa da una pallottola di mitragliatrice nemica, rimaneva sul posto, nascondendo il suo stato mortale, perché non venisse attenuata l’operosità degli ardui lavoratori. Nuovamente colpito, stra¬mazzava in un sottostante burrone ». (Bollettino ufficiale, dispensa 19a del 1919).