Gli imputati sono stati giudicati colpevoli, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, detenzione e porto di armi, lesioni personali, violazione di domicilio, invasione di terreni ed edifici, furto, illecita concorrenza con minaccia e violenza, favoreggiamento. L’inchiesta della Dda di Bari, che nel marzo 2016 portò all’arresto di 31 persone, ha accertato “il capillare e sistematico controllo del territorio” da parte dei clan, “anche attraverso il monitoraggio e la gestione degli alloggi di edilizia popolare e, soprattutto, attraverso l’infiltrazione all’interno dei cantieri edili”.
Agli atti ci sono dichiarazioni di imprenditori taglieggiati ma anche evidenze che in molti casi altri imprenditori “interagivano direttamente e senza alcuno scrupolo con i vertici del clan pur di ottenere commesse ed impiego, alterando in maniera significativa le regole di mercato e della libera concorrenza”. Il clan “si insinuava, sfruttandola, nell’attività dell’imprenditoria edile barese – spiegano gli investigatori – finendo per operare scelte aziendali di rilievo, imponendo ditte di fiducia o addirittura “imprese mafiose”, così determinando indirettamente anche i prezzi di forniture e opere, sui quali poi pretendere una percentuale”.
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