“Le metamorfosi” di Ovidio e Astragali chiudono la seconda edizione di “Mitika”

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Appuntamento fissato per martedì 13 settembre alle ore 21 al Teatro Romano di Lecce

metamorfosi-lecceLECCE – Dopo il rinvio dovuto al maltempo dei giorni scorsi, ultimo appuntamento martedì 13 settembre alle21, al Teatro Romano di Lecce, con “Mitika – Teatro e Mito nella contemporaneità”, rassegna del dramma antico alla sua seconda edizione, organizzata da “Aletheia Teatro” per la direzione artistica di Carla Guido.

In scena, a chiudere in bellezza un cartellone teatrale di appuntamenti importanti e di grande successo di pubblico,la compagnia Astragali diLeccecon le “Metamorfosi” da Ovidio,ovvero“Donne che resistono alla violenza degli dei”: scrittura e regia di Fabio Tolledi, sul palco Lenia Gadaleta, Roberta Quarta, Simonetta Rotundo, Petur Gaidarov, Onur Uysal, Hamado Tiemtorè. Musiche di “Insintesi”.

La storia. Aracne, fanciulla della Lidia, era famosa per la sua abilità di tessitrice e ricamatrice e molto orgogliosa della sua bravura.Così un giorno ebbe l’impudenza di affermare che neanche la dea Minerva,divinità protettrice della tessitura, sarebbe stata in grado di competere con lei. La dea, travestita da vecchia, tentò così di persuadere Aracne a scusarsi per la sua impertinenza, ma la giovane non accettò i consigli, anzi rinnovò la sfida: questa volta la dèa non si tirò indietro. Minerva tessé una sua vittoria e levittorie degli dei; Aracne, invece, ricamò sulla sua tela gli amori e le violenze degli dèi dell’Olimpo nei confronti delle donne mortali. Questo fatto mandò Minerva su tutte le furie; distrutta la tela, si avventò contro la sua avversaria colpendola con la spola. Aracne, umiliata dall’ira divina, tentò di impiccarsi, ma Minerva la sottrasse alla morte trasformandola in un ragno.

L’esito della gara è terribile, perché tremenda è la condanna di Aracne per essere stata arrogante e per aver narrato il segreto degli stupri divini. Il tema dello spettacolo, dunque, è la potenza degli dei, ma anche la loro tracotanza e violenza, e – come rovescio della medaglia – la capacità dei mortali di resistere al volere divino.

Donne che raccontano le antiche storie delle Metamorfosi, intrecciando canti, immagini e miti della nostra più importante tradizione del Mediterraneo.Metamorfosi è l’immagine che diviene vita”, spiega Fabio Tolledi, regista e “dramturg” dello spettacolo, “il destino del nome che diviene cosa. Dafne, Eco e Narciso danzano come cose nel loro divenire. Canto della resistenza dell’amore. Doppio ricucito sulla pelle che diviene nome. Scarto su questo mare comune che non riconosce nessuno”. Metamorfosi racconta di un dio maschio che viola il corpo di donne: la storia di Filomela, di Io, di Europa parlano della resistenza a questa violenza. Noi, da sempre migranti, intrecciamo questi miti antichi per aprire gli occhi e il cuore sul tempo presente. Il Mediterraneo è un piccolo mare fatto di tante culture e intorno a noi cresce il bisogno di ritornare a raccontarci le storie che per secoli ci hanno donato il senso della vita.Donne che cantano la vita, che incantano il mondo”.